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26.X.1999
Emanuele Saurwein
Caro Panos,
forse in una lettera - di quelle che non verranno mai spedite,
ma che si tengono strette al cuore - possono trovare dimora alcuni
vaganti pensieri che in questi anni ci hanno accompagnato.
Abbiamo iniziato, assieme, un viaggio dentro lo studio dell'architettura.
Da Mendrisio, assieme, siamo partiti alla scoperta del mondo dell'architettura.
Presto abbiamo scoperto che i confini erano lontani, invisibili
ai nostri occhi. Abbiamo anche scoperto che il viaggio sarebbe
stato molto lungo e faticoso.
E quale scoperta é stata questa!
A mattone si accosta mattone, con cura e con il dovuto tempo.
Così, con la stessa cura e il medesimo tempo, si percorre la strada
che porta all'architettura. Negli anni finora trascorsi all'accademia,
dentro e fuori, ci si è accorti che questo viaggio non si può
concludere. Alcune soste, forse, sono permesse per prendere fiato,
ma il dubbio che la ricerca dell'architettura sia un viaggio senza
fine è orami certezza. Sconcertante verità, questa.
Appare nel preciso istante della scoperta, allora, la mano dell'uomo.
L'esperta mano del professore si allunga per afferrare il tremolante
studente colpito dalla verità. Quella mano sorregge lo studente
e trasmette fiducia. Da questo viaggio, inoltre, non si può fare
ritorno. Innestato il meccanismo della passione, ci si accorge
che è impossibile fermarsi e che colui che ci ha guidati fino
al momento della scoperta non è più un professore o un architetto,
ma è semplicemente un uomo. Un caro uomo e un anziano amico. Già,
proprio l'uomo dai bianchi capelli, che con curiosità e pazienza,
tanta pazienza, guida e spesso frena il frenetico studente. Lo
stesso uomo che giudica e valuta, che ascolta e parla. Lo stesso
uomo che insegna a giocare con l'architettura. È un gioco serio,
è vero, ma allo stesso tempo -contemporaneamente- è anche un gioco
spensierato, dove la voglia di fare allunga il passo. La mano
corre allora sul foglio e traccia linee … traccia muri. La matita
lascia tracce sul foglio, ma incide anche il cuore. Ci si accorge
che il tempo corre come la matita sul foglio. Si ha fretta di
fare, di concludere, di vedere il risultato. L'impazienza brucia
quelle tracce che la matita ha inciso nel cuore. Tutto scorre,
velocemente. Tanto veloce che la matita, spesso, si spezza. Ancora
una volta, la mano dell'amico è vicina e rallenta la folle corsa.
È una presenza rassicurante. Necessaria come il suo sorriso.
Giunge poi, inaspettato e violento, lo sconforto. La matita si
ferma; la carta rimane bianca; lo sguardo fissa il vuoto. Tutto
è bloccato. Si cercano disperatamente i confini, i limiti … eppure
niente. La mano non ha più la forza necessaria per tracciare i
bordi di una architettura. Lo stesso significato del termine è
sfuggente. Ma ecco che la mano amica ora apre nuove direzioni,
nuove vie da esplorare. Lo sguardo può nuovamente correre libero
nella vasta distesa, può volare sopra infinite architetture e
arcadici paesaggi; ancora con un sorriso
Come si sarà intuito da queste poche e sfuggenti parole, la tua
era anzitutto una presenza amica e a noi vicina.
Così, come gli amici spesso comunicano attraverso parole mai dette,
ma proprio per questo molto più eloquenti, allo stesso modo il
tuo improvviso silenzio ora deve tradursi, per rispetto e per
amicizia, nelle nostre parole. Quelle stesse parole capaci di
disegnare una architettura. Come studenti, ossia come esploratori
dell'architettura, siamo guidati, ora, dal tuo silenzio.
È con un antico augurio, "kalo taxidi kale mas file", buon viaggio
caro amico, che noi studenti ti salutiamo
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